song-taaba onlus

uno spazio di solidarietà, un tempo per incontrarsi, un luogo per progettare

Thelma (AnnaMaria)&Louise (Gaia) e i rotolini al cardiopalma

  • Lunedì 24 gennaio: Thelma (AnnaMaria)& Louise (Gaia) e i rotolini al cardiopalma

 

Un’infame impietosa sveglia si divertiva – il lunedì più di ogni altro giorno -  a rubare a 4 disperati reduci dal  week-end gli ultimi istanti di sonno, i più densi e illusoriamente riposanti .

La mattina … una mattina come tutte le altre: la solita delirante ordinarietà

A casa Lipari  - fino alle 7,00 di mattina, cioè fino al momento della colazione – si aggirano fra le stanze individui spaventosi con lo sguardo di un lobotomizzato, le movenze di un bradipo, il linguaggio di un ubriaco e il ragionare di uno schizofrenico. Sarebbe bastato nulla a far crollare il precarissimo equilibrio di tutta la famiglia. Questo nulla ieri era incarnato dal febbrone da cavallo con cui Daniele si era svegliato …. al “mi sa che ho la febbre” biascicato con fare interrogativo da una caldaia con sembianze umane … il termometro aveva risposto “39 gradi !” Nel caso di Daniele non era sfiga. Era una folle scelta suicida che lo aveva fatto dormire sabato sera – in un rifugio a Soriano del Cimino con gli scout e … tanta neve – senza sacco a pelo semplicemente avvolto in una copertina. “Perché Daniele hai fatto sta follia? “ (urlava pacatamente la copia genitoriale visualizzando al massimo delle proprie capacità il volto di Maria Montessori .. e sostituendo “follia” a ben più grevi sostantivi che lo scrivere fa tralasciare …) “perché la mattina – non dovendo riavvolgere il sacco a pelo - potevo dormire di più!” (testualmente: perché così ho dormito pure quando gli altri rifacevano il sacco a pelo !)… una risposta che lasciava basiti gli attoniti genitori insinuando in entrambi il dubbio di poter  avere per figlio un genio oppure l’eventualità che il freddo del rifugio di Soriano del Cimino avesse ormai congelato i “mejo” neuroni a disposizione del loro secondogenito.

Un’ora dopo la scena appena descritta Daniele dormiva beato sognando palle di neve e affettuosi Jeti (con cui volentieri avrebbe sostituito i propri parenti) Nicola era alle prese con una lezione di latino, Vito in ufficio e la sottoscritta all’Agenzie delle Entrate pronta ad affrontare tutte le sfide che la separavano dalla possibilità di recuperare una cartella esattoriale del 2006 dissoltasi nel nulla, meglio nel caos del disordine domestico. Dalle precedenti incursioni nel suddetto ufficio era emersa la certezza che sarei dovuta rimanere lì – in giro tra i vari sportelli – almeno 3, 4 ore, un tempo che faceva di me una sorta di vittima da sequestro di persona ad opera dello Stato. Sequestro surreale visto che la maggior parte dei cittadini italiani briga e opera per riuscire a non cacciare un euro mentre io stavo sottoponendomi ad una vera e propria via crucis per recuperare la speranza di  pagare tasse matusalemmiche … a ben pensare i neuroni di Daniele a casa Lipari non sono quelli per  cui dovremmo preoccuparci maggiormente!

L’auspicio era quello di finire entro le 13,00 così da poter arrivare nei tempi a mia disposizione alla portineria dell’Istituto Massimo dove mi attendeva un preziosissimo rotolino di carta per l’elettrocardiografo di  Chiara (un elettrocardiografo donatole da Song-Taaba circa due anni fa grazie alla generosità di Lino) Un rotolino di 5 cm e qualche millimetro come da precise indicazioni di Paolo Moro, lasciato lì in orari antelucani da Rossella Mastria. Sempre alla portineria  del “Massimo” avrei dovuto trovare – fortuna permettendo - anche altri rotolini che Lino avrebbe dovuto acquistare in mattinata all’Esaote: un centro che fornisce e rifornisce questo genere di apparecchiature. Insomma alle 8,30 di mattina era tutto apparentemente sotto controllo.

24 ore prima avevo ricevuto un SOS partito da Chiara che chiedeva di reperirle per l’elettrocardiografo portatile quanti più rotolini di carta possibili poiché li aveva finiti. Paolo Moro – rientrato in Italia per un lutto familiare - sarebbe passato da Roma a prendere tutto. SOS che non poteva – né doveva – cadere nel vuoto. Dietro quei rotolini battevano – tenacemente - i cuori di tanti amici congolesi cui la vita aveva già tolto troppo.

Inoltrato l’SOS a tutti coloro in qualche modo legati a realtà medico-sanitarie avevo ricevuto la disponibilità di Lino Iaia ed AnnaMaria ad andare lunedì mattina all’Esaote per acquistare rotolini. Così come avevo ricevuto l’sms di Rossella che era riuscita a trovarne uno (allora sti rotolini esistono ancora !)

Ma Lino, in qualità di medico e precedente proprietario dell’apparecchio offerto a Chiara, aveva “vinto” la trasferta.

La vita è movimento potrebbe dire in modo aulico e sintetico un saggio per introdurre il tema della “variabilità”, i racconti si nutrono di colpi di scena potrebbe fargli eco un qualunque accanito lettore oppure – più concretamente -  non sottovalutare mai il ruolo delle “probabilità” o degli “imprevisti” come sa bene chiunque abbia giocato almeno una volta a Monopoli.

Intorno alle 9,30 arriva un sms da Lino che fa capire di essere alle prese con un accavallarsi di impegni in ospedale che non gli garantirà di potersi muovere. Poco dopo – evidentemente toccati dalla prospettiva di un pagamento (di riscatto!) certo – gli impiegati dell’Agenzia delle Entrate acceleravano tutte le procedure burocratiche a mio carico facendomi intravedere un rapido “rilascio”.  Telefono ad Anna Maria per capire se sia riuscita a rimediare – tramite suo fratello cardiologo – qualche rotolino. Lo ha sentito ma i rotolini da lui usati sono di 4,50 cm e non vanno bene. Le chiedo: “ma hai sempre due ore libere stamattina?” … lei – nonostante un forte odore di rischio saturi l’aria – intrepida risponde “Si! … però ho un figlio con la febbre e vorrei capire se posso lasciarlo solo”… Le chiedo: “Ha più di 39°?” … risponde “No!” …”allora – concludo – lascialo pure e se dovesse annoiarsi digli di telefonare a Daniele per un saluto da sudario a sudario! … tanto – guarda – non sarà più di un’oretta, andiamo e torniamo! Si tratta di fare un salto alla portineria del Massimo e un altro in via Fonte Meravigliosa … quanto ci potrà volere?”

Ci sono giorni in cui nulla è come sembra, in quei giorni le parole si riducono a suoni e le scelte appaiono fragili barchette in mezzo a mari in tempesta. In quei giorni è bene muoversi portando nel cuore le parole di Rilke: “nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare, ma a noi che sappiamo, anche la brezza sarà preziosa

Noi sapevamo (… sentivamo battere i cuori del Congo) ed avevamo una meta: Esaote in via Fonte Meravigliosa 88. La brezza: una coppia di cacciatrici di rotolini. La sottoscritta, al volante ed Anna Maria, provetto navigatore, sul sedile accanto al mio con lo stradario di Roma aperto alla tavola 38 e il dito già su via Fonte Meravigliosa. Tutto chiaro, tutto semplice. Ottimizziamo gli spostamenti e decidiamo di passare prima dal Massimo. Magari il rotolino lasciato da Rossella può servirci come modello da mostrare all’Esaote

La tappa al Massimo scivola come la seta fra le mani confermando l’assoluta fattibilità della “missione”. Ritiriamo una busta a nome Lipari da parte di Rossella contenente il primo  e – ancora per poco – unico  rotolino e ripartiamo verso via Fonte Meravigliosa.

Il mio senso dell’orientamento è parente stretto alla mia capacità di sintesi: dotazione alla nascita scarsa, scarsissima, praticamente  nulla. Accolgo quindi con docilità e gratitudine le indicazioni di Anna Maria che mi guida tra strade e viali a me minimissimamente noti con piglio e sicurezza (uso l’aggettivo “minimissimamente” solo per decoro e per onorare una nascita ed una “residenza” romana).

 In quel momento il fatto di essere a Roma era  - per me - un puro dettaglio, sarei potuta essere a Tokio come a Napoli tanto era estraneo il paesaggio che mi circondava. Ma – come ho già detto – la missione si mostrava facile e imboccato l’ultimo rettilineo ci ritroviamo a via Fonte Meravigliosa. Il tempo di posteggiare la macchina su un marciapiede e finalmente il civico dell’Esaote appare alla nostra vista. Dover comprare dei rotolini di carta per un cardiografo portatile faceva dare ad entrambe per scontata l’idea che ci saremmo trovate davanti una sorta di esercizio commerciale del tipo “para-farmacia”, così ci lasciava spiazzate la scoperta di un edificio dai vetri completamente  oscurati che evocava – nella migliore delle ipotesi – una banca, nella peggiore …  un’agenzia delle Entrate!

Esistono due categorie di persone: quelle che sotto pressione danno il meglio di se (tra le quali annovererei senza dubbio alcuno Anna Maria) e quelle cui si obnubila il cervello … la seconda (categoria) è la mia. Sul portone una serie infinita di targhe aziendali che frastornano. Citofoniamo a questo “Esaote” ed alla domanda “chi è?” rispondo “un privato” … (Anna inizia a ridere) Saliamo le scale e ci troviamo a percorrere un corridoio su cui si affacciano tante porte, dietro alle porte solo e soltanto uffici. Rileggo l’sms di Lino e se da una parte sono certa di aver raggiunto il luogo indicato non lo sono assolutamente più circa la possibilità che in quel luogo vendano rotolini. Sono questi i momenti in cui bisogna agire di fantasia, facendo leva più sull’effetto sorpresa che sulla logica. Ci avviciniamo ad un impiegato, tiriamo fuori la brochure di Song-Taba e mostrando le foto di Chiara e dell’ospedale di Kimbau spieghiamo che di lì a poche ore dovremo assolutamente portare in aeroporto dei rotolini di carta larghi 5 cm e qualche millimetro per un elettrocardiografo portatile  perché possano arrivare in giornata a Kimbau dove ne hanno assoluto bisogno avendo esaurito tutte le scorte: della serie è questione di vita o di morte. Siamo state mandate lì – all’ESAOTE - da un amico medico perché era certo ci potessero aiutare. L’impiegato, sorridendo, ci accompagna verso un altro ufficio, valutando – seriamente -  la possibilità che il medico che ci ha mandate lì sia uno psichiatra in vena di scherzi, e continuando a sorriderci (coi matti bisogna farlo sempre!) ci presenta ad una delicata signora bionda che – prima di tutto – ci chiede il nome del medico che ci ha mandate lì (uno psichiatra? … si chiede …) poi ascolta paziente tutta la storia di Chiara e dell’ospedale di Kimbau (che, sempre con la brochure in mano, ripetiamo per la seconda volta) infine, dopo averci ascoltate, pronuncia l’amaro verdetto. Lì non hanno assolutamente questi rotolini né li hanno mai avuti (lo dicevamo che sembrava una banca!! … appena acchiappiamo Lino lo avvolgiamo con il rotolino di Rossella come la mummia di Tutankhamon!) Ci consiglia di provare ad andare alla SEAB e vedere se possono fornircene loro. Telefona, parla con non una tale Giuliana e ci scrive su una busta: via Squarcina. Il civico? “non serve cercate la targa della Seab. (ma che è? .. . na caccia al tesoro?) Torniamo in macchina un po’ confuse ma ancora fiduciose di poter concludere con successo la missione. Rimbambite dalle indicazioni della bionda che ci aveva riempito di prima a destra seconda a sinistra e poi a sinistra ancora ed a destra … ci perdiamo … riprendiamo allora in mano lo stradario e cominciamo a seguire il percorso più lineare … finalmente arriviamo su una strada dalla quale – secondo lo stradario – doveva partire via Squarcina. L’insegna stradale indica però un altro nome: via Giacomo Marcocchia. Le oscillazioni del mio pendolo interiore iniziano ad aumentare. Anna consiglia di fregarcene dello stradario e provare a vedere se non sia un’altra la traversa da considerare.  - un'altra quale? -  Iniziamo così a percorrere via Arcidiacono avanti e indietro verificando il nome di ogni traversa, a destra come a sinistra.

Dei forti notoriamente è la calma, dei deboli il turpiloquio.

 La mia amicizia con Anna – un’amicizia con 38 anni di anzianità – mi lasciava libera di scatenare ed adattare la mia fantasia ad ogni genere di insulto, invettiva, contumelia, offesa  … rivolta – nel rispetto della cronologia – a quanti, dai tempi di Romolo e Remo si fossero occupati di urbanista, risalendo, di secolo in secolo, fino all’attuale assessore. Dopo il fallimento della prima perlustrazione iniziamo a chiedere ai passanti, nessuno sembra aver mai sentito nominare questa strada. Proseguiamo il sopralluogo alternando – in perfetto stile oxfordiano -  accelerate, frenate e improperi. Mi giro e vedo il colorito di Anna Maria alterarsi significativamente. “Scusami sono troppo volgare !?” … “No! … soffro la macchina … aprimi i finestrini”. Decido – prima che Anna arrivi a vomitarsi l’anima – che – se è vero che per ogni cosa c’è il suo tempo – questo non è il tempo dei rotolini.

Ma la mia decisione doveva fare i conti con la determinazione di Anna Maria che – cambiando strategia – mi intima un dietro-front alla volta di  bar ed edicole di zona dove inizia a raccogliere indizi su questa fantomatica SEAB e su via Squarcina.

Ma  - cara la mia maestra Anna Maria – non sarà che la scuola in cui insegni … è quella di Polizia?

 … in ogni caso la nuova strategia … funziona! Un edicolante finalmente biascica:  “dovrebbe esse quella” ed eccoci parcheggiare a ridosso di una siepe in quella che a questo punto  decidiamo essere via Squarcina davanti ad una targa che … è quella della SAEB! Entriamo, saliamo fino al primo piano e chiediamo ad una coppia di persone in piedi dietro ad un desk di una certa signora Giuliana (questo ci sembrava fosse il nome pronunciato dalla signora bionda dell’ Esaote mentre era al telefono davanti a noi) … la donna ci risponde: “è appena uscita” … ci accasciamo come due palloncini sgonfi sopra alle scale … mentre la donna che ha assistito al nostro “sgonfiarci” alzando la voce dice “ma torna subito!” … restiamo spalmate sulla rampa delle scale … guardandoci senza parlare. Dopo pochi minuti entra una donna “la signora Giuliana?” chiediamo – “Si” risponde lei – ci alziamo come  i suddetti palloncini dopo un trattamento di elio e la investiamo di aria mista a parole, richieste, storie, brochure, indirizzi, ospedali e rotolini. La donna ascolta attenta, ascolta attento  anche l’ uomo accanto a lei. Si guardano - consapevoli del colpo che stanno per infliggerci - e spiegano: “dottoresse, da tempo non abbiamo più  questi rotolini, li abbiamo spostati in un altro centro che è ad una mezzoretta di macchina da qui”. Vacillo. Passi il dottoresse  - in fondo lo siamo anche se non nel senso che loro ci attribuiscono. Un senso che si chiarirebbe immediatamente se mi domandassero a bruciapelo cosa penso della rottura dello scafoide? … penso … che la barca rischierebbe di affondare?! … e della branca destra e sinistra del fascio di His? … posso pensare …: “ma che vi fumate quando pulite il pesce?”

  Se il linguaggio dei segni esiste quest’ulteriore proposta di spostarci verso una nuova meta equivaleva per me ad un “è ora de tornà a casa, c’abbiamo provato: è andata male”  Ma  - ancora una volta – avevo sottovalutato Anna Maria  che lasciandomi rimuginare  fra me e me aveva preso un foglietto di carta a stava facendosi dettare le indicazioni stradali per raggiungere questo magazzino. Riempito un primo foglietto, se ne fa dare un secondo. Scrive (viali, piazze, vicoli, stradette), scrive (girate alla rotatoria, circumnavigate la statua che però è stata danneggiata), scrive (vedrete una chiesetta,  troverete una discesa, al mercato seguite il lato del fioraio).

Arrivata in fondo al secondo foglietto segna finalmente l’indirizzo: via G. Segato 31 (io … ormai totalmente diffidente … inizio a chiedermi: se un indirizzo con il nome Squarcina ci ha fatto girare a vuoto per mezz’ora … uno con “Segato” può mai promettere qualcosa di buono?)

Gentile e disponibile, la signora Giuliana ci accomiata. Risaliamo in macchina.

Anna mi guida come se fossi un congegno automatico. Provo a restare calma ed in silenzio (due sfide quasi impossibili!)  ma, quando dopo le prime curve inizio a vedere prati, alberi e pecore a volontà, alla mia destra come alla mia sinistra … sbotto: “possibile che ogni volta che devo fare qualcosa per sto cavolo de Song-Taaba io finisco pe’ campi?” ed iniziano a tornarmi in mente, Dembo, Roberta, la musica senegalese, i bonghi, i tamburi,  le danze, Francesca e Nicola. Un ricordo che però – in qualche modo -  mi placa e mi spinge a rimandare ogni bilancio.

Non so ancora come ma ad un certo punto riusciamo ad arrivare a via G. Segato. Cerchiamo con lo sguardo un qualsivoglia magazzino o hangar …  solo palazzine. Ci fermiamo davanti al civico 31 e tra i nomi dei tanti condomini spunta una sigletta: Seab! Citofoniamo. Niente. Citofoniamo ancora: ancora niente. La mia – notoriamente scarsa -pazienza ha toccato il punto minimo … e dando un cazzotto alla macchina … mi preparo ad accettare il verdetto: missione fallita! … mi dispongo subito a far capire la sconfitta ad Anna Maria … ma lei è già dentro al portone: si è messa a citofonare a tutti i condomini ripetendo a tutti “Seab” ed a trovato uno che le ha aperto. Entriamo. Ci precipitiamo alla porta di questo ufficio. Suoniamo senza posa il campanello ma – poteva andare diversamente? – nessuno apre, nessuno risponde. Un colpo di reni, uno scatto di propositività mi spingono a chiamare l’892424 (e mica solo a Bisio questi sapranno dare informazioni!) Chiedo i numeri delle sedi romane della Seab sperando di riuscire a parlare nuovamente con la Giuliana di prima e di chiederle aiuto. Mentre mi accanisco sul cellulare Anna Maria, attaccata alla grata del portone come un macaco alla gabbia dello zoo chiama un gruppo di ragazzi che vede passare chiedendo loro se per caso conoscano qualcuno che lavori nell’ufficio della Seab interno a questo palazzo. I ragazzi si guardano stupefatti e rispondono: “noi lavoriamo lì, ma siamo in pausa pranzo”. Il macaco, maestra, dottoressa, Thelma, Anna Maria Bianconi inizia ad urlare ed a spiegare che abbiamo una questione urgente da risolvere: non ce ne andremo dal loro ufficio finché non ci avranno dato tutti i rotolini di carta x elettrocardiografo di 5cm e qualche mm a loro disposizione !!! Toccati da tanta determinazione – e dallo sguardo da pazze che ormai si era impossessato di noi – ri-aprono l’ufficio e spariscono in magazzino … tornandone con 40 rotolini !!!

Paghiamo sulla porta e prendiamo due scatole in un tempo da Guinness dei primati (e non lo dico più pensando al macaco!). Entriamo in macchina ed iniziamo a ridere.

E ridendo disegniamo un fumetto sulle nostre teste con su scritto: MISSIONE COMPIUTA!

La sera, verso le 19,30 Vito ed io andiamo a casa Castellani, ci aspettano i genitori di Chiara e Paolo Moro. Stupefatti da un bottino così ricco – che offrirà a Chiara un’ autonomia di ben 5 anni –  ringraziano noi e tutti gli amici di song-taaba con profonda tenerezza e cordialità.

La strada del ritorno è molto trafficata, andiamo a passo d’uomo. Andatura “ideale” dopo una giornata così frenetica. Accade talvolta che riducendo il  movimento “fisico” si incrementi quello “mentale”. Inizio così a ripercorrerla – questa giornata -  seguendo “percorsi” diversi. Alla ricerca di un senso – che sento ma non vedo – che rimetta i puntini sulle i ed i grazie su chi veramente li merita …

… grazie  …  nel mio cuore …  sento che è tutto – e solo - per Chiara che aspetta questi rotolini nel suo ospedale di Kimbau, alla forza, alla determinazione, alla generosità che la fa rimanere fedele ad una scelta e ad una terra faticosa, pericolosa, e lontanissima da tanti  suoi affetti, fedele ad un lavoro preziosissimo ma estenuante, fedele ad un si alla vita che la attraversa in ogni suo gesto. Grazie anche a Paolo che non si tira mai indietro e che vive la sua solidarietà declinandola tutta nella condivisione più vera: quella di chi è accanto!

Esempi di persone eccezionali che riescono a vivere la loro normalità fecondandola al punto che   persone normali - come me, Anna Maria e tutti gli amici che con noi percorrono la strada di Song-Taaba – riescono di tanto in tanto, grazie a loro, a vivere mattinate “eccezionali” … e riescono, sempre pensando a loro, a vedere - oltre l’angusto orizzonte di una realtà misurata e pesata con bilancini tarati dai tornaconto e dall’apparenza -  un mondo realmente  solidale. Di quella solidarietà che ha come unità di misura il valore dell’uomo, un valore …  oltre ogni misura.

Un albero si riconosce dai frutti … l’ ultimo grazie, nel mio cuore … è per genitori di Chiara, per esser stati quello che sono. Di fronte all’odierno sfaldarsi dei rapporti e dei valori che li nutrono, passare tre quarti d’ora in casa Castellani fa capire perché da quella famiglia sia venuta fuori Chiara. Ci sono terreni fecondi su cui la semina non può che portar frutto. Famiglie come la loro sono un orizzonte cui tutti dovremmo guardare quando perdiamo la rotta o la speranza di riuscire a raggiungere i nostri “porti”. Non servono parole, ragionamenti, teoremi …. Serve costruire luoghi accoglienti abitati da persone, come loro,  che sanno aprire il cuore insieme alle braccia ogni volta che ti vengono incontro  … sulla porta di casa.

Uscendo da casa Castellani ho pensato: per 5 anni non servirà comprare altri rotolini … il traffico sta diradandosi … la macchina recupera un’andatura sostenuta … la giornata sta finendo: peccato !!!

 

 

Visualizzazioni: 88

Commento

Devi essere membro di song-taaba onlus per aggiungere commenti!

Partecipa a song-taaba onlus

© 2024   Creato da song-taaba onlus.   Tecnologia

Segnala un problema  |  Termini del servizio